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Sedilo nel dizionario Angius Casalis [1833-1856]

Immagine rappresentativa per: Sedilo nel dizionario Angius Casalis [1833-1856]

Sedilo o Setilo, terra della Sardegna nella divisione di Nuoro, provincia di Cuglieri e prefettura di Oristano.

Comprendevasi in quella parte del Guilcieri, che fu denominata Superiore, altrimenti Canales, da’ molti canali, o solcamenti che ha il margine del pianoro in questa parte.

È capoluogo di un mandamento, il quale estende la sua giurisdizione sopra i luoghi di Zuri, Aidomaggiore, Nuragugume, Dualki, Boroneddu, Tadasuni.

La sua situazione geografica è nella latitudine 40° 10' 20" e nella longitudine orientale del meridiano di Cagliari 0° 12'.

La situazione topografica è in sul collo del maggior promontorio, che forma ne’ suoi termini il pianoro del Guilcieri, altrimenti Parte-Cier.

Questo promontorio osservasi nell’angolo, che fa il suddetto pianoro cangiando verso ponente-libeccio la linea sin qua precedente all’austro, e resta incontro all’imboccatura del Daloro, o Viario, nel Tirso.

La larghezza del collo è di circa 5/6 di miglio, la lunghezza dello sporgimento di 1 1/2.

Per un seno, che si apre in detto promontorio, ha due capi distinti, uno verso sirocco, ed è il maggiore, perchè lungo miglia 1; l’altro quasi verso ostro, che è minore della metà.

Pertanto sono notevoli tre seni intorno al medesimo, uno aperto al greco, che è angusto e dominato dalle rupi vicine d’ambe parti: l’altro tra i due notati capi, o corna, largo miglia 5/6, profondo 1/2, il terzo tra il corno, o capo minore e un altro promontorio, intermedio a questo, ed al seno di Aido-maggiore.

Le pendici intorno sono generalmente ripide, massimamente quelle del capo maggiore, e l’accesso non molto facile. In alcune parti la costa è perpendicolare.

Se si avesse a edificare una fortezza centrale nel-l’isola, questo sarebbe il punto più adatto, nel rispetto della salubrità, perchè l’aria è buona, e per preservarsi da’ malori basta la debita precauzione contro le variazioni atmosferiche; e nel rispetto della strategia, perchè si potrebbero avere diverse uscite, non si avrebbe a temere di assalti pericolosi in nessuna parte delle pendici, e non potrebbesi assediare, che dalla sola parte del piano, di cui esso forma il cantone.

Clima. Il luogo, che abbiamo descritto, non avendo prossima nessuna eminenza che lo ingombri, resta esposto a tutti i venti; ma è dominato principalmente da quelli del settentrione e del meriggio.

Il suo stato termometrico è piuttosto medio, perchè non vi si patisce gran freddo, se non regni il boreale, nè gran caldo, se non domini l’australe.

È piuttosto rara la nevicazione, e quando viene è per poco che la terra ne resta coperta.

La nebbia vi si stende talvolta trasportata dalle altre parti del pianoro, ma il vento la caccia via facilmente.

Le pioggie non sono ordinariamente molto frequenti, come per il rimanente della regione.

L’aria è pura e non è verisimile che vi sorgano i miasmi della valle del Tirso, la quale in queste vicinanze non pare ne possa produrre in copia.

Territorio. Il territorio di Sedilo è disteso per una parte sul pianoro, per altra nelle sue pendici e nella vallata del Tirso.

Questo fiume, che lambe il piè del promontorio, si allontana obbliquamente dalle altre parti del margine e lascia distendersi un campo esteso, dove sono due colline, una a greco del capomaggiore del promontorio in distanza di 3/4 di miglio, l’altra quasi nella stessa direzione, ma distante dalla prima di migl. 1 2/3, che sorgono a poca distanza dalla sponda destra del fiume.

Ne’ dintorni del paese sono poche fonti e mancano affatto nel paese.

Le più notevoli sono quattro, una detta di Bangios a 1/4 d’ora dal paese nella direzione di maestro-tramontana; la seconda che appellasi di Bingias de pradu alla stessa distanza tra ponente e maestro; la terza nominata di s. Costantino, in distanza di 25 minuti tra ostro e scirocco, la quale primeggia per abbondanza; la quarta, che è parimente copiosa, una lontana di mezz’ora, trovasi verso tramontana. Tranne quella di Bingias de pradu le altre sono circondate d’una costruzione per vietarne l’accesso agli animali.

Dopo queste se ne possono numerare altre trentuna o trentadue.

Le fonti Puzzolu e Borillo, anch’esse vicine e frequentate dal popolo, sono perenni e stimate per la bontà, quando quella di Bingias de pradu. La sorgente Pigodu ha pure la difesa d’un fabbrico, e serve per il paese come l’altra che dicono Sa-figu.

Nel campo sono undici fonti; Putanarcu, nel luogo detto Sodde o Solle, cinta di una costruzione in pietre nere, acqua perenne ed abbondante in mezzo all’amenità di pioppi, olmi e salici; prossime a questa le fonti perenni Su Tumbaru e su Poju de Sadda, molto lodate per la finezza; quindi le dette Palmas, Cantaro e Codina, Marturiarjarios prossima ad una distrutta cappella dedicata all’arcangelo s. Michele; quindi quelle di Cilloi e Orbezàri: e nel prato attinente alla stessa regione quelle di Lozoroi, Arcadoria Fontana de Saba e Maddaris o Mallaris.

Nella regione denominata di Lochele sono conosciute le due fonti di nuraghe ruju e di Serra-majore.

Nella regione di Nordai, se ne indicano cinque, la fonte Iloi, su Famajolu, Busartu, e altre due Bercier e Moro, tra le antiche e abbandonate cappelle, dedicate una a s. Andrea apostolo, l’altra alla Vergine d’Itria.

Nella regione poi, che dicono di Parte susu, se ne trovano altre undici, Orzanghene, fonte di perenne ottima acqua, riparata da una costruzione, dove è tradizione fossero abitatori nel tempo antico e si rinvennero antiche monete; la fontana di s. Quintino, presso una chiesa del medesimo titolo, e dopo queste Su Cantaru, Iustazì, Bonassai, Melas, Muzzigene, Calavrigheddu, Muzzana, Ulinu, Lucunas. Si possono notare due ruscelli, ma di corso invernale, uno di Bangios detto vicino all’abitato, l’altro Ber-cier.

I notevoli corsi d’acque, detti fiumi, sono quattro, e circondano o traversano il territorio. I paesani li nominano Flumineddu, rio di Lochele, Biario, e Siddo.

Il primo (Flumineddu) ha le sue scaturigini nel monte Oskelo, e scorre per i salti del Marghine per unirsi al seguente. Il rio di Lochele è lo stesso che il Tirso, il quale nel luogo detto Is giunturas, riceve il Flumineddu, quindi passa nella regione di Colocò, tra grandi rupi e folti boschi, dove tortuoso e ristretto romoreggia così strepitoso, che nelle sue pienezze tiene desti nella notte i Sedilesi sebbene lontani di circa due miglia.

Da quelle angustie uscito nel campo di Torozula riceve il fiume Biario (Daloro), dopo la quale affluenza è da paesani chiamato rio di Nordai, e scorre tra’ salti di Sedilo e di Barigadu-jossu sino al luogo detto Crocore, dove è il limite tra Sedilo e Zuri.

In questo stesso luogo si aggiunge al Tirso il fiume Sillo volgarmente Siddu, che ha le origini al ponente nella regione, che dicesi Marghini-Stura, e divide col principale de’ suoi rami il Sedilese da quello di Soddi e Zuri.

In questi fiumi, massime nel Tirso, si ha gran copia di anguille, di trote, di pesce di squama, come usan dire i paesani, e di saboghe, che si prendono quando sono magre.

Non è raro prender anguille dalle 12 alle 15 libbre, delle trote perfino di 6 libbre, delle saboghe di 7 o 8 libbre e di muggini (il pesce di squama) grossi. Insieme si prende gran copia di pesciolini (pischizzolos).

Il prezzo è di cent. 25 la libbra, e minore assai quando è in gran copia.

Nell’alveo del medesimo sono cinque o sei di quelle peschiere che dicono nassarius, e consistono in una chiusa di stipe con una piccola foce che si tiene bar-rata, finchè non sia ora di pescare.

I nassai si sogliono preparare con arte presso le confluenze.

Alcuni pescano pure fuor de’ nassai.

Gli uccelli acquatici che trovansi più frequenti su queste acque sono le anitre e le folaghe.

Manca il ponte a valicare il Tirso, e però nelle piene resta vietato il transito.

Nel sito detto su Ponte becciu, furono nella siccità del 1834 osservate le fondamenta di tre piloni, poi si riconobbe un pezzo di arco nel fondo.

Sarebbe facile sopra queste fondamenta ricostrurre il ponte per facilitare le comunicazioni tra Sedilo e la Barbagia Ollolai, e gli altri dipartimenti.

Grave è l’incomodo che si patisce per il vietato passaggio a’ viandanti, grave quello che si patisce da’ sedilesi che hanno campi e vigne da coltivare nella sponda sinistra del fiume, cioè nella regione di Lo-chele. Talvolta per più di 15 giorni non si può senza rischiar la vita tentar il guado.

Un altro danno e non piccolo si soffre da quelli che hanno terre basse prossime al fiume, tanto nella parte di Lochele, quanto nell’altra a destra del fiume, che dicono su Campu, perchè nel timore delle inondazioni non possono fare a tempo i lavori. Questo nasce dacchè l’alveo è poco profondo.

Ogni anno periscono nel passaggio del Tirso da cinque a sei persone.

Alla parte di ponente e di libeccio sono alcune piccole eminenze di bell’aspetto, che in altri tempi verdeggiavano di pampini. È notevole l’eminenza conica, che si denomina di Talasai. Lo è pure quella di Busoro e a mezz’ora dall’abitato. Tra’ nuraghi di Talasai e di Iloi entrando carpone in un vuoto trovasi un buco, dove si può stare in piedi, e si osservano otto camere di piccola dimensione, ma ben lavorate a scalpello. Di minerali non si può indicar altro, che un filone di terra saponacea, lungo la strada che conduce alla chiesa di s. Costantino. Questa terra si adopera per imbiancare e levare le macchie.

Selvaggiume. Sono in questo territorio daini, cinghiali, lepri, volpi e martore, e spesso si fa caccia delle due prime specie.

Vi sono pure in molta copia pernici, quaglie, beccaccie, tortori, colombi, tordi, ecc. Si trovano pure oche selvatiche, e vengono non rare le gru.

Non mancano gli uccelli di rapina di ogni specie e carnivori, tra quali si può notare più frequente il così detto unturju (l’avoltojo) della grandezza d’un gran montone.

Boschi. Nel Sedilese non sono vere selve ghiandifere, sebbene non sieno molto rare le quercie e i lecci.

Più frequenti di queste due specie trovansi gli olivastri, e più ancora di questi i peri selvatici, i quali se fossero ingentiliti accrescerebbero la somma de’ prodotti agrari.

Le regioni più boscose le appellate comunemente su littu (nome generico usato da’ sardi a significare le boscaglie), Sa serra-manna e Sos pezzos.

I lentischi sono sparsi per tutto, a’ quali sono mescolati pochi ghiandiferi e molti corbezzoli.

Popolazione. Nel censimento della Sardegna pubblicato nell’anno 1846 si notarono in Sedilo anime 2326, distribuite in famiglie 530 e in case 525. Quindi nella tav. III, dove la popolazione è distribuita per età e sesso si numerarono:

Sotto i cinque anni
maschi 98, femmine 102;

da 5 a 10 anni
mas. 164, fem. 157;

da 10 a 20
mas. 123, fem. 146;

da 20 a 30
mas. 162, fem. 187;

da 30 a 40
mas. 149, fem. 176;

da 40 a 50
mas. 132, fem. 154;

da 50 a 60
mas. 107, fem. 136;

da 60 a 70
mas. 78, fem. 103;

da 70 agli 80
mas. 47, fem 52;

dagli 80 ai 90
mas. 14, fem 22;

da 90 a 100
mas. 6, fem. 9;

in totale
mas. 1080, fem. 1246.

Nella tav. IV dove si presenta la distinzione secondo le condizioni domestiche si notano per la stessa
popolazione

Maschi:
scapoli
646
ammogliati
409
vedovi
25

Femmine:
zitelle
814
maritate
403
vedove
20

Si celebrano ordinariamente 20 matrimoni, nascono 80, muojono 50.

I matrimoni si sogliono contrarre dagli uomini nell’età da 22 a 30 anni, dalle donne tra’ 16 e 25.

Ordinariamente si effettuano dopo la raccolta dei frutti agrari.

Nella bassa classe e professione agricola l’uomo che prende moglie suole esser provvisto di tutti i mezzi per procurare la sussistenza a se ed alla moglie e prole, cioè giogo, cavallo, istrumenti agrari, ed il ricolto: la donna tutto il proprio vestiario, il letto e tutte le masserizie necessarie per una casa.

In occasione di matrimonio per uso antico i parenti della sposa le fanno i regali prima di andare alla casa maritale, i parenti dello sposo quando vi entra. Qui avendo essa proferita la consueta formola, volete una figlia? tutti se le appressano e la colmano di felicitazioni e di doni.

Quando si combina l’unione maritale di due vedovi, usasi che un gran numero di persone, e non tutti giovani si radunino presso la casa degli sposi e facciano una barbara musica di catene, padelle, campanelli, tintinni. Siffatta serenata, detta volgarmente tinti-nella, si prolunga spesso oltre la mezzanotte, e si ripete per otto sere consecutive almeno, perchè se il tempo è buono e la gente non è malinconica per scarsezza di raccolto si prosegue per altre notti.

Quando muore qualcuno usasi di porre il cadavere in mezzo la sala sopra una panca, e stando intorno le parenti più prossime piangono, urlano, improvvisano delle strofe in lode delle sue qualità, o in onore della virtù de’ suoi antenati, i quali sono nominati con affettuose evocazioni, come se udissero le loro voci.

Le donne vestono nei giorni di gala o di parata gonnella rossa, grembiale nero, casacchino di diversi colori. Lascian vedere la bianchissima camicia tra il corsaletto e la gonnella, cingono la faccia di una bianca benda, che passa sotto il mento, detto volgarmente tiazzola, e calzano bene il piede; ma quelle di classe inferiore non rivestono la gamba, essendo le calzette un lusso conveniente alla classe superiore e ben agiata. È poi da notare questa particolarità sulle stesse donne, che, quando vanno in chiesa portano ordinariamente il lembo della gonnella superiore levato dalla parte davanti fino al petto, e solo lascian cadere nel-l’entrarvi. Io non saprei dire la cagione di quest’uso. Se si volesse nascondere il seno abbondante doveasi tener coperto anche dentro la chiesa, e poteasi ciò fare in altro modo.

Le case sono tutte di un sol piano, costrutte con pietre e argilla, e intonacate di calce solo nella parte interna, composta per lo più di due o tre camere con un cortile, dove si ha del pollame, il majale ed il cavallo sotto una loggia. Le porte (portalis) sono formate di pietre di taglio di color rossastro e tutte arenate.

Le strade non sono in nessun modo curate e in qualche parte nauseosamente immonde.

Lateralmente alla chiesa parrocchiale è una piazzetta, la quale potrebbe di molto esser ampliata se si togliesse l’antico cimitero, e fosse abbellita dal verde degli olmi, che in questo suolo allignano molto bene.

Professioni. La massima parte degli uomini che possono lavorare si esercitano nell’agricoltura e nella pastorizia, pochissimi ne’ mestieri, che sono in istato di rozzezza, come si avvera generalmente.

Si possono notare tra maggiori e minori applicati all’agricoltura 450, alla pastorizia 218, alcuni de’ quali fanno pure qualche coltivazione, ai mestieri 50. Le donne lavorano con assiduità sul telajo e tessono di lino tela comune, lingerie di tavola; di cotone e lino, coperte di letto (diconsi vàunas o fànughas) con disegno vario; di lana il panno che serve per il vestiario, coltri, dette frassadas, e bisaccie di lana disegni colorati.

Alcune lavorano per vendere nel paese, o fuori.

Gli uomini hanno belle forme, e molta robustezza, onde reggono a lunghi lavori e vivono alla decrepitezza, se si sappiano preservare dai malori che può cagionare la variabilità della temperatura atmosferica, e se la sorte li liberi da’ medici ignoranti.

I Sedilesi senton molto di se e resistono a chi disconosca i loro diritti. Nel tempo del feudalismo nessun altro popolo era tanto odiato da’ baroni, quanto questo dal loro marchese.

Ne’ tempi scorsi non era condotto nessun medico, e aveasi solo un flebotomo, sicchè nelle malattie si abbandonavano alla natura, provocando sudori, e dove nol vietasse l’inappetenza nutrendosi meglio che in altro tempo.

Non vi sono famiglie veramente ricche; ma le agiate in gran numero. Nel generale la popolazione non può dirsi povera. Quasi tutti possedono qualche cosa, almeno la casa e un pezzetto di terreno per vigna.

Istruzione. Concorrono alla scuola primaria poco più di 25 ragazzi, e non profittano molto più che altrove.

Talvolta si ha il comodo di qualche scuola privata per l’insegnamento de’ rudimenti della grammatica latina.

Le persone che sappiano leggere e scrivere, oltre i preti, saranno in circa una trentina.

Sentesi da molti il bisogno di una scuola primaria per le fanciulle, la quale gioverebbe assai e sarebbe più popolata che quella de’ fanciulli, i quali spesso sono condotti da’ loro padri in campagna o vi sono mandati per qualche servigio.

Tribunale. In Sedilo, dove era già la curia baronale, or è il tribunale del mandamento.

Nel tempo feudale la detta curia era composta d’un delegato consultore e di due scrivani; ora ha un giudice, un segretario ed un sostituito, come tutte le altre.

Il carcere baronale sussiste ancora, ed è come tutti gli altri ergastoli feudali, dove più che sotto questa chiave custoditi si teneano sotto pena i ditenuti.

Il delitto più comune è il furto, ma solo di qualche capo di bestiame.

Opere di beneficenza. Non se ne può notare alcuna, perchè, qui come altrove, la carità si esercita verso i morti e si trascura verso i vivi, e si sono fatte lascite per feste ed altre cerimonie religiose.

Agricoltura. Nelle più parti il territorio di Sedilo è idoneo alla cultura de’ cereali, però questa è notevolmente estesa come vedesi dalla quantità de’ semi che annualmente si commettono a’ solchi, senza porre in conto la coltivazione dei novali (narboni).

L’ordinaria qualità della seminagione è di starelli (mezzo ettolitro) di grano 7000, d’orzo 2000, 1000 di fave ed altrettanto di ceci, 300 di lino.

La fruttificazione ordinaria e media è del 12.

L’orticoltura è molto negletta, e ristretta alle lattughe, bietole, a’ cavoli e ravanelli.

Nella estate si lavorano alcuni orti presso le sponde del Tirso per melloni, cocomeri, citriuoli, fagiuoli e zucche. La meliga e le patate sono coltivate da pochi.

Fruttiferi. Gli alberi fruttiferi sono poca cosa per la nessuna industria, sebbene vi potessero allignare ne’ siti convenienti tutte le specie, che si coltivano nel-l’isola, come vi allignano i peri, i fichi, gli albicocchi, i susini, i mandorli.

La nessuna industria è provata nel nessun frutto che si ritrae da una grandissima quantità di olivastri, i quali aspettano che la mano dell’uomo li adatti a produrre frutti migliori.

Non si fa altr’olio che quello del lentisco, e in grandissima copia.

Le vigne sono ancora ristrette sì che la vendemmia non è ancora sufficiente alla consumazione. Nel che non solo è prova di poca industria, ma di una inqualificabile spensieratezza, essendo tanto ampio il territorio ed essendo nel medesimo molte regioni accomodatissime a questa cultura.

Tanche. Molte sono le chiudende che si sono fatte, ma sono pochissime che abbiano la capacità considerevole dai cento a’ trecento starelli cagliaritani di seminagione.

Le altre generalmente possono arrivare a’ 15 o venti starelli.

Pastorizia. Larghe e fertili sono le regioni destinate al pascolo comune, e se queste fossero date a proprietà, e non invase e calpestate da ogni genere di bestiame, basterebbero per nutrire più del doppio e triplo del bestiame, al quale tante volte non basta.

Bestiame manso. Sono per l’agricoltura circa 300 tori e gran numero di vacche manse; per servigio di sella e di basto cavalli 150, per macinare il grano e portar carichi giumenti 230, infine majali 160.

Bestiame rude. Si computarono vacche 2300, capre 3000, pecore 8000, porci 800, cavalle 400.

Sedilo abbonda di latticini, che in massima parte si ha dalle vacche manse.

La qualità de’ formaggi è ordinariamente buona, la quantità che si mette in vendita forse non meno di quintali 1500.

Gran parte di questo prodotto vendesi a Bosa, dove pure si mandano tutte le pelli, perchè nel paese non esistono concie.

Le lane che sovrabbondano a’ bisogni del luogo si smerciano ne’ villaggi vicini

Comecchè sia tanto notevole il numero del bestiame non è ancora in Sedilo una beccheria, dove vendasi regolarmente.

Apicultura. Anche questo ramo d’industria ha pochi che lo curino, già che il numero delle arnie forse non sopravanza le ducento. Eppure se ne potrebbero coltivare migliaja essendo favorevoli le condizioni del clima.

Strade. Le vie, per cui Sedilo comunica con gli altri paesi, sono spesso difficili nel pianoro, malagevoli dalla parte della gran valle.

Dista da Aidomaggiore (verso libeccio) miglia 2.

da Nuraguguma (verso settentrione) miglia 3. da Abbasanta sulla grande strada maestra 5 1/2.

Con un tratto di strada di tanta lunghezza passando per Aido maggiore e Norguillo, contribuendovi però anche questi comuni, potrebbe Sedilo mettersi in comunicazione con la grande strada.

La distanza dal capoluogo della provincia (Cuglieri) è di miglia 16 in retta (a ponente), dal capoluogo della divisione (Nuoro) miglia 21 parimente in retta (a greco).

Commercio. Si esercita questo principalmente con Bosa e con Oristano.

I grani si mandano in Oristano e una parte ne’ villaggi delle montagne della vicina Barbagia. Nelle annate medie si possono estrarre da 4 a 5 mila ettolitri di grano. La vendita dell’orzo e delle fave è in minor quantità.

Di capi bovini se ne vendono da 4 in 500, da 2 a 3000 montoni, ecc.

In totale il valore delle vendite si può computare di circa 106,000 ll. nuove.

Religione. Sedilo era ne’ tempi antichi e nella prima metà del medio evo compreso nella diocesi Fòrotrajense, che poscia fu detto diocesi di s. Giusta, la quale fu in seguito annessa alla diocesi d’Oristano.

La chiesa parrocchiale ha per titolare s. Gio. Battista.

È di antica struttura, a tre navate, con cupola po-scia aggiunta. La facciata presente fu costrutta nel 1705, quando si fecero altri ristauri e aggiunte.

La sacristia è poverissima, epperò nelle solennità non si può fare in molta pompa di arredi sacri.

Il parroco ha il titolo di rettore, ed è assistito ne’ suoi officii da cinque preti, a’ quali nel bisogno, o se ne occorrono solenni cerimonie, se ne aggiungono alcuni altri.

La quantità de’ frutti decimali si può computare dalla quantità che si semina, dalla fruttificazione, aggiungendosi poscia i frutti pastorali.

Le chiese minori nell’abitato sono cinque, e dedicate una a s. Croce, un’altra a s. Antonio, la terza a s. Basilio, la quarta a s. Pietro, la quinta a s. Vittoria.

Le chiese rurali sono nove, e hanno per titolari: s. Giacomo, s. Pietro martire, s. Costantino, s. Vittoria di Ziccori, s. Liori, s. Michele, s. Costantino del Campo e la Maddalena.

La festa principale de’ sedilesi è per s. Costantino nella prima chiesa così appellata, la quale trovasi in una vallata o concavità alla distanza di 25 minuti dal paese.

Quel seno in forma di anfiteatro, ed oltre la chiesa ha un certo numero di case per comodo di novenanti e dà circa 50 logge per vendita di merci, già che quando occorre la festa di s. Costantino si tiene in questo luogo una fiera.

È qui la fonte di s. Costantino, della quale abbiamo già fatto menzione.

Il tempio è fatto a somiglianza della descritta parrocchiale.

Il s. Costantino, cui è dedicata questa, come la chiesa del campo, è il regolo torritano, non l’Imperatore romano, come alcuni pensano.

Nelle feste popolari accorrono in Sedilo da’ villaggi circonvicini i forestieri a migliaja, che entrano a ospizio anche in quelle case, dove sono del tutto sconosciuti, e vi sono accolti con gentile cortesia. Non v’ha famiglia, quantunque povera, che in quei giorni non faccia un consumo straordinario di pane fino di semola, paste lavorate, carne, vino, formaggio. Le donne da molti giorni prima vanno occupandosi in questi preparativi e provvisioni; e vi sono delle case, dove non si consuma meno di due ettolitri di schietta semola.

Nel paese v’ha una sola bottega di merci.

Antichità. Nuraghi. Nella regione di Parte-suso se ne numerano 21. Nur. Columbos, quasi intero, Nur. Melus con una delle così dette sepolture di giganti, Nur. di Monte-Majore, Nur. Ladu, Nur. Perra, Nur. di Lure, quasi intero e più alto degli altri, Nur. Dessu Puzzu, Nur. di s. Quintino, presso cui vedonsi le rovine d’una chiesa dedicata a quel santo, Nur. Sa Maddalena, che pure ha preso il nome dal titolo di un’antica chiesetta distrutta, Nur. Lighei, quasi intero ed alto, Nur. di Busoro, quasi intero presso a una sepoltura di giganti detta di Oligai, Nur. di Sossinghera, quasi intero ed alto, Nur. Spadulas, Nur. di Ulinu, Nur. di Purigone, Nur. de Scudu, Nur. di Iloi, intero con sepoltura di giganti, Nur. di Lolas, Nur. de Cungiados, Nur. de Borilo.

Nella regione di Nordai se ne trovano 4, il Nur. di Talasai, posto sopra il colmo dell’eminenza dello stesso nome, Nur. de Cabones, Nur. de Busurtei, Nur. di Orbezzari.

Nella regione di Lochele, alla sinistra del fiume, ve n’ha 10, sono il Nur. Perra, Nur. di Serrasonà, Nur. de su Erre, Nur. di Filigorri, Nur. Ruju, Nur. di Plantas ladas, Nur. di Campigiolu, Nur. Dessu nodu, Nur. Dessu concadore, Nur. di Culipesadu.

Nella regione de su Campu non restano soli due, Nur. Boladigas e Nur. Irghiddo.

Nell’abitato è un Nuraghe denominato con l’appellativo volgare Nurachi, nel rione che dicesi di Muntonargiu.

In vicinanza ve ne sono altri due, e detti uno nuraghe de Ichiu, l’altro nuraghe Pisinnu.

Oltre le sepolture de’ giganti indicate presso alcuni nuraghi se ne conoscono altri due in due luoghi, dove non v’ha e non pare siavi stato alcun nuraghe: una nel luogo detto Rughe de ziu Manca (croce di zio Manca, cioè una di quelle pietre che si mettono sopra le pietre ammucchiate, dove cadde ucciso qualche uomo); l’altra nel sito detto Pedra Sta.

Pedras de Cuba. Pietre di botte, dette così perchè somiglianti a una mezza botticina di cono tronco, le quali furono per la prima volta osservate e descritte dal compilatore: esse però rassomigliano a’ nuraghi. Vedine la descrizione nell’articolo Nuraghi pag. 714 [vedi vol. 10, p. 137, N.d.R.], dove sono pure indicate le dimensioni.

Castello antico? Sull’eminenza conica detta di Talasai, che abbiamo indicata a ponente-libeccio del paese, vedonsi le rovine d’un antica popolazione, e vuolsi siavi stata una fortezza.

Tra dette rovine fu ritrovata una bella sardonica, che fu posseduta dal rettor Sequi.

A proposito di invenzioni noterò quella che fu fatta in una delle così dette sepolture di giganti, in un poderetto del luogo detto Rughi, d’una corona regale, che avea incise le seguenti lettere R. T. (Re torritano?). Se questa corona fosse appartenuta a un Re torritano si potrebbe conghietturare che in una delle molte guerre, che gli arboresi fecero contro il reame torritano, questa corona sia stata predata, e dal predatore nascosta in detta sepoltura, nè poi ripresa dal medesimo.

È tradizione che in Talasai avesse seggio una potente famiglia di questo nome, la quale fosse sovente in guerra con altra possente famiglia cognominata degli Iloi; e che poscia tra essi si venisse ad accordi nella valletta, che dicesi ancora Campu de jurados, perchè nella medesima si avessero giurato amicizia i capi delle due case, e i loro rispettivi clienti.

Storia del feudo. L’ultimo possessore di questo feudo fu D. Geronimo Delitala, il quale però avea giurisdizione sopra tutte le terre, che lo componevano, ed erano Sedilo, Soddi, Zuri, Norguillo, Domus-novas- (Canale), Tadasuni, Boroneddu.

Questa regione appartenente in principio a’ giudici d’Arborea, poscia a’ marchesi di Oristano, fu dopo la confisca de’ feudi da essi posseduti, infeudato nel 1485 in favore di D. Galcerando da Requesens.

D. Ferdinando de Cardona, nipote ex filio di D. Galcerando, lo vendette con approvazione sovrana a

D. Nicolò Torresani nel 1537.

Restò quindi ne’ discendenti di questi fino alla morte di D. Bernardino Antonio De Cervellon, accaduta nel 1725, senza prole maschile, perchè il fisco instò per il sequestro trattandosi di un feudo, al quale nella primitiva concessione erasi impressa la natura di netto e proprio.

Dieci anni dopo D. Francesco Solinas, canonico della primaziale di Cagliari, presentò un progetto per l’acquisto del villaggio di Sedilo col titolo comitale, offerendone la finanza di 15 mila scudi; e il progetto essendo stato esaminato dall’avvocato fiscale del supremo consiglio, Dani, fu il medesimo di parere non esser conveniente agli interessi della R. azienda per la modicità del prezzo, massime chiedendo il titolo comitale, ed abbisognando il progettante d’una speciale autorizzazione sovrana perchè ecclesiastico.

Rigettatosi questo progetto un altro se ne formò dal prefato Solinas, nel quale, domandando il titolo marchionale invece del titolo comitale, offerì per l’acquisto in feudo del villaggio di Sedilo e degli altri sei componenti l’Incontrada detta di Canales la finanza di scudi sardi 30 mila.

Questo progetto essendo sembrato più equo si divenne al rogito dell’opportuno istromento addì 6 febbrajo del 1737, nel quale si convenne che mediante il pagamento delle sovraenunciata somma, si concederebbe al progettante l’Incontrada di Sedilo di Canales a titolo di feudo emptizio acquistato dal Signor diretto con tutti i salti, territori, termini, diritti, dominii, proprietà, pertinenze, e colla giurisdizione civile e criminale tanto in prima, quanto in seconda instanza, libero e franco da ogni servigio e peso feudale, salvo il regio donativo, e tutti gli altri diritti, i quali per uso, stile o consuetudine, erano tenuti a prestar i feudatari del regno, con la facoltà di poter disporre tanto per atto tra vivi, che per ultima volontà a favore di maschi e di femmine, ed anche di estranei, riportandone però prima il regio assenso.

E siccome il predetto acquisitore era per la sua qualità di ecclesiastico incapace di ritenere de’ feudi, perciò si stabilì che all’atto stesso di prender egli possesso de’ feudi ne farebbe la rinuncia in favore di D. Giovanni Maria Solinas, suo nipote, e de’ figli e discendenti di esso, lasciata però al canonico suddetto la facoltà di ingiungere nella sua disposizione tutti quei vincoli, condizioni, e pesi, che gli sarebbe piacciuto d’imporre per conservare il feudo nella famiglia Solinas.

Questo contratto venne approvato con diploma de’ 3 maggio 1737, e con altro della stessa data venne la detta Incontrada eretta in marchesato.

Si prevalse il detto canonico della facoltà di disporre accordatagli nel sovraccennato istromento; epperò con altro dei 5 giugno dello stesso anno devenne alla cessione di detto feudo in favore del suo nipote

D. Gioanni Maria Solinas; e prevalendosi parimente della facoltà accordata in detto stromento stabilì con un fedecommesso primogeniale nella sua agnazione e cognazione, chiamando in primo luogo il suddetto

D. Gioanni Maria, suoi figli maschi e le femmine in totale mancanza de’ primi, in secondo luogo D. Rosalia Solinas figlia di D. Bartolomeo Solinas, fratello del testatore, e i suoi figli maschi e femmine, osservato l’ordine di primogenitura, e con la condizione di portare il nome e le armi de’ Solinas; finalmente in mancanza di queste due linee chiamò il nipote Andrea Susarello, figlio di Giovanna Solinas, sua sorella, ed i discendenti di lei, maschi e femmine in infinito nella forma sovra espressa.

Stabiliva quindi che sempre quando si agitasse alcun dubbio o questione per la condizione della primogenitura dovesse in tal caso osservarsi il diritto di rappresentazione, ossia che la successione dovesse continuare nella stessa linea ossia che si facesse il transito da una linea all’altra, intendendosi sempre quando la questione fosse di maschio a maschio agnato, o di femmina a femmina cognate, perchè se fosse da femmina a maschio dovrebbe sempre il maschio essere preferto.

Dopo la morte del primo acquisitore possedette il feudo D. Gioanni Maria, il quale per la premorienza de’ figli cedette con pubblico istromento de’ 23 settembre 1779 questo feudo a D. Bartolomeo Simon marito della sua cugina D. Maddalena, col patto che questa cessione dovesse aver effetto dopo la di lui morte e venisse confermata col R. assenso, per l’ottenimento del quale si chiese nanti il tribunale del R. Patrimonio si dichiarassero nulle le vocazioni fatte dal canonico Solinas, perchè contrarie al diploma di concessione; ma non potè vedere l’esito di questa domanda per essersi reso prima estinto.

Nacque dunque una gravissima lite tra il fisco patrimoniale D. Bartolomeo Simon suddetto, e D. Salvatore Delitala.

Chiedeva il primo la devoluzione de’ feudi, perchè a termini del diploma, la facoltà concessa al canonico di disporre non potea estendersi ad altri, salvo che ad uno de’ congiunti, il che avea fatto nella persona di D. Gio. Maria, epperò doveansi considerare come nulle tutte le altre vocazioni, ed il feudo aperto dopo la morte del prefato D. Gio. Maria senza prole.

D. Bartolomeo Simon seguendo le istanze del D. Gio. Maria, pretendea valida la cessione fattagli da quest’ultimo, credendo che la facoltà di disporre del feudo appartenesse non al canonico, ma a D. Gio. Maria per essere stato questo feudo comprato dai danari di esso, il quale trovavasi ancora pupillo e sotto la tutela di detto canonico.

Finalmente D. Salvatore Delitala pretendendo valide le disposizioni del primo acquisitore, e in ciò vedendo coadiuvato da D. Andrea Susarello, e dal curatore alla posterità della linea Solinas e Susarello, chiedeva rimettersi a lui il feudo in questione.

Venne questa causa decisa sotto il 20 ottobre 1786 in coerenza de’ voti del supremo consiglio, il di cui tenore si era non farsi luogo alla devoluzione instata dal fisco, ed alle disposizioni dell’ultimo marchese D. Gio. Maria; doversi però dare la possessione di detto feudo con tutti i suoi diritti, pertinenze ed accessioni e co’ frutti decorsi dal giorno della morte dell’ultimo marchese al nob. D. Salvatore Delitala, salvi i diritti del D. Francesco Delitala e de’ suoi figli non compresi in questo giudizio.

Dopo questa sentenza il detto D. Francesco, commorante nell’isola di Corsica, perchè condannato in questo regno alla pena capitale, avendo rifiutato il feudo a’ suoi figli, Maria Rosalia e Michele, con atto pubblico de’ 4 aprile 1787 e mediante il patto della riversibilità allo stesso donante, se il suo figlio venisse a morire senza prole e fosse esso superstite, chiese l’intervento in causa, quale con sentenza dello stesso supremo consiglio 30 maggio 1788 vennegli denegato, confermando allo stesso Salvatore il possesso del feudo e riservando i diritti, non più a Francesco, ma a’ suoi figli, nel caso che ne avessero, ad altro giudizio.

Nacque quindi altra lunga ed accanita lite tra il Michele e Maria Rosalia Solinas e il D. Salvatore, proseguita poi dal figlio D. Geronimo, nella quale vennero proferite tre sentenze. La prima dalla R. udienza addì 5 giugno 1809, la quale aggiudicò il marchesato in questione al Michele Delitala co’ frutti dal giorno della mossa lite; la seconda da una delegazione stabilita con regio rescritto de’ 13 settembre di detto anno, la quale, nello stesso stato della causa, rivocò la sovra calendata prima sentenza; e la terza del supremo consiglio de’ 16 giugno 1819 confermatoria di quest’ultima.

Dopo questa sentenza il sovradetto D. Geronimo chiese l’investitura nanti il tribunale del regio patrimonio, e l’ebbe addì 20 ottobre del 1824.

Incameramento del feudo. Essendosi con quattro sentenze del supremo consiglio di Sardegna 24 maggio 1839 terminati i giudizi di ricorso dalle sentenze delli 7 ed 8 giugno 1838 proferte dalla Regia delegazione sopra i feudi, creata col Regio editto 30 giugno 1837 nelle cause per l’accertamento de’ redditi feudali de’ villaggi di Sedilo, Norguillo, Domusnovas, Soddi, Zuri, Tadasune, e Boroneddu tra il march. D. Salvatore Delitala e i nominati comuni componenti i feudi di Sedilo e di Canales; in esecuzione delle succitate sentenze si venne di accordo delle parti a un conto liquidativo delle varie prestazioni, redditi e passività, e risultò il reddito lordo di ll. sarde 7559, soldi 19, denari 3; dalla qual somma dedotte le passività in ll. s. 1433. 15. 2, rimasero per reddito netto ll. s. 6126. 4. 1. corrispondenti a ll. n. 11762. 31.

Essendosi poi dal marchese proposto e dal governo accettato il riscatto, si aprirono le trattative e si stipulò in favore del marchese: nell’art. 2, che rimanessero riservati al medesimo e suoi successori in Sedilo.

1.º La casa baronale con corte e giardino annesso.

2.º La tanca così detta del conte di star. 70.

3.º Il chiuso di corte di star. 14.

In Norguillo

4.º La casa baronale con corte e piccolo oliveto annesso.

5.º La tanca di Pedru Cossu di star. 30.

6.º La tanca di Sas Leadas di star. 15.

7.º La tanca di Suboi di star. 30.

8.º La tanca così detta di Piludi o Marghini-stara di star. 2000 a un di presso, oltre a un tratto di terreno ancora imboschito.

Nel villaggio di Domus-novas,

9.º Un molino distrutto con uno star. di terreno annesso.

Nel villaggio di Soddi.

10.º La tanca distrutta detta di Siddo di star. 20.

La cessione venne fatta dal sig. marchese mediante il prezzo di ll. sarde centoventidue mila, cinquecentoventiquattro, soldi uno, denari otto, ossieno ll. 235246. 20, corrispondente al 100 per 5 alla rendita delli due feudi predetti.

Questo prezzo doveva essere corrisposto dalle R. finanze col mezzo della iscrizione sul gran libro del debito pubblico del regno creato col R. editto 21 d’agosto 1838, della rendita corrispondente al 5 per 100 alla somma sovra enunciata.

L’iscrizione a favor del marchese dovea essere sottoposta a quegli stessi ordini di successione, a’ quali, ove non fosse perseguito il riscatto, sarebbero stati soggetti i feudi suddetti.

Si concedette però lo svincolamento e libera disponibilità della terza parte del prezzo.

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