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La rivolta del 1850

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L'assedio di Sedilo nel 1850 - Cagliari - Tipografia nazionale 1881
"Alla simpatica e laboriosa popolazione di Sedilo sua patria di elezione desideroso che prosperi sempre e che raggiunga la meta delle sue aspirazioni quest'umile lavoretto". Raffaele Puxeddu D.C.

"I Sedilesi sentono molto di sé e resistono a chi disconosce i loro diritti. Nel tempo del feudalismo nessun'altro popolo era tanto odiato dai Baroni, quanto questo dal loro Marchese." Così il Casalis nel suo Dizionario geografìco-storico-statistico del Regno Sardo.

E' questa una verità indiscutibile che toma tutta in onore della popolazione di Sedilo, mentre dimostra e fa risaltare la sua indole ardita, fiera ed indipendente. In sullo scorcio dell'anno 1850 gli abitanti di questo villaggio, oppressi da isopportabili balzelli, privi d'una voce autorevole che li sorregesse di consigli e di aiuti; irritati da un passato obbrobrioso, inconsideratamente abbandonarono il campo della legalità ed insorsero contro gli agenti del Governo, incaricati della esazione di quelle stesse tasse che per tanto tempo aveano corrisposto agli abborriti Marchesi.

Erano da pochi anni, poveretti! che respiravano aure di libertà, e mal soffrivano che di nuovo si
riaprissero le mai rimarginate piaghe; anzi s'illudevano nella certezza d'un avvenire migliore, memori della visita loro fatta dall'amato sovrano il Magnanimo Rè Carlo Alberto ai 16 di maggio del 1843; senza dubbio allo scopo di persuaderli che a lui non erano ignoti i soprusi ed angherie sofferte e che perciò viva parte prendeva al loro dolore. Coll'abolizione dei feudi, cioè fin dal 21 Marzo 1838, il Governo subentrava nei diritti dei feudatari, e riscuoteva per conto proprio oltre i regi donativi anche le prestazioni feudali, le quali erano cosi esorbitanti da superare da sole il reddito del patrimonio.

Più volte si erano fatte rimostranze al riguardo, ma non si ottennero che semplici promesse, null'altro che semplici promesse di condono. Intanto il debito aumentava, imperocché da otto anni pochissimi ne curavano il pagamento.

Si fu' allora che lo Intendente Circondariale, ossequiente agli ordini avuti inviò su luogo dei Commissari onde procedere agli atti coattivi. Disgrazia volle che tali Messi fossero persone snaturate e di cuore perverso, tal che si diedero a girare entro l'abitato a tamburo battente, scortati dai Reali Cavallegeri e preceduti da un carro per riporvi gli oggetti sequestrati, spogliando le case di ogni arredo, e privando le famiglie del pane, e di quant'altro potea loro abbisognare per il giornaliero sostentammo. Se trovavano assente il padrone di casa, apponevano i si gilli alle porte, ne permettevasi lo ingresso a chicchessia se prima non venivano pagate le somme dovute....
La squallida miseria e gli strazii inauditi della fame pareano congiurare ai danni di questa brava popolazione amicandosi col ghigno beffardo di colali agenti inumani.
Teneva in quell'epoca le redini della amministrazione comunale un contadino di specchiata onestà, ma inetto affatto a disimpegnare la difficile carica affidatagli; quindi nessun provvedimento per parte sua atto a calmare gli animi; nessuna istanza al governo per sospendere la riscossione delle imposte; nessun'ordine per richiamare al dovere gli agenti inviati per siffata bisogna.

Egli e vero che una settimana prima della sommossa erasi recato in Oristano unitamente ad altri due Mèmbri della Giunta Locale ad oggetto d'implorare un respiro ai debitori morosi, esponendo come gli animi fossero concitati e mal soffrissero i Comunisti la presenza dei commissari; ma nulla avea ottenuto, anzi ciò" forse fu causa che in seguito avesse a soffrire oltre un anno di prigionia.

I magnati del paese, abbenchè risentissero gli effetti di si sorbitanti tasse, dissimulavano per conservare un certo prestigio, ed ai lamenti del popolo non davano ascolto, e piuttosto si adoperavano a persuaderlo essere una necessità il pagare, vuoi in obbedienza alle leggi, vuoi ancora nella speranza di ottenere il rimborso non appena riconosciuti giusti i reclami ma il popolo raramente esamina e discute: guarda all'oggi, ai propri bisogni, ai mezzi che ha per soddisfarli, più che alle leggi, che non sempre venivano applicate a tempo, ricorre ai mezzi che crede di diritto naturale alle dimostrazioni, alle cospirazioni alle rivolte.

In una modestissima casetta, posta in Piazza Spano distinta col numero civico 2, in allora abitata da certo Giuseppe Ghisu, sopranominato Meanesu, si prendeano gli opportuni concerti dal popolino intomo ai mezzi atti ad allontanare i Commissari alle esecuzioni; ed in quel tugurio che iperbolicamente chiameremo la Casa della cospirazione scoppiava il moto della sommossa popolare.

Fin dalla mattina del giorno 16 Novembre 1850 si notava un agitazione insolita in questa popolazione; vi era un via-vai di persone, un affacendarsi nelle case a pulire armi, a mettere in pronto spiedi, forcinoni, scuri, bastoni, ed altri arnesi da adoperarsi in caso di resistenza per parte della arma dei cavallegieri, la quale, per altro di nulla si era avvista e niente prevedeva. Soppravenuta la notte, all'ora stabilita,e giusta gli ordini dati dai capi della rivolta, un fabbroferraio scassinava la porticina del campanile della parrocchia e salitovi suonava a stormo le campane. In un baleno un'onda di popolo riversavasi nel piazzale della parrocchia; vecchi, giovani, donne, ragazzi, quali armati di fucile, quali di ronche, chi di scure, bastone e spiedo, chi infine di grossi ciottoli. Di la l'assembramento si mosse avviandosi verso la Caserma dov'era alloggiato il più spietato ed inumano dei commissari, certo M. C. tuttora vivente, allo scopo di farlo fuggire e forse anche sbranarlo. Fortuna però che questi, reso avvertito dell'infuriare del popolo, pensò a casi suoi fuggendo precipitosamente dal paese. I Cavalleggieri, sebbene in esiguo numero, opposero viva resistenza: il conflitto fu accanitissimo....
Uno dei rivoltosi rimase sul terreno ed un Cavalleggiere leggiermente ferito. Sopraffatti però dal numero, i Cavalleggieri cercavano scampo nel vicino villaggio di Ghilarza.

Per amore al vero e perche" il tempo non abbia a falsare le intenzioni dei Sedilesi, è mestieri qui dichiarare che nessuno dei rivoltosi avea la rea intenzione di recare la menoma offesa all'Arma Benemerita, alla quale è sempre avuto rispetto sommo da questa popolazione. Lo scopo dei rivoltosi era solo quello di dare lo sfratto agli spieiati Messi alle esazioni e nulla più.

Intanto i pacifici cittadini sbigottiti da si straordinario tumulto e dalle grida forsennate della plebe, non sapevano a qual partito appigliarsi; chi rafforzava le porte e si preparava alla difesa; chi scappava in campagna; chi si nascondeva nei cortili; chi sotto le legna. So di due reverendi che passarono molte ore di quella notte sotto un albero di fico con una tremarella che mai la maggiore. Sfuggito essendo al furore del popolo il mal capitato quanto imprudente e aborrito Commissario, la folla si trovò disarmata, talché diradavasi in poche ore e tutto rientrava nel silenzio e nella calma.
Dettagliati rapporti pertanto venivano spediti all'Autorità Politica del Circondario, nei quali svisando ed esagerando i fatti si diceva: essersi sollevata questa popolazione assetata di sangue, animosa contro gli agenti alle coattive e la forza pubblica; temersi serie conseguenze. Doversi quindi energicamente provvedere con misure e mezzi sufficienti a porla in freno, onde evitare mali maggiori....

A tali relazioni, non contraddette dal Sindaco del Comune, il Governo aggiustava piena fede e deliberava di mettere il villaggio in stato d'assedio; e senza frappor tempo in mezzo vi spediva 210 Cavalleggieri, 100 Bersaglieri, 2 Compagnie di Cacciatori Franchi ed 1 Compagnia del Reggimento
Sardo. La sera, infatti, del 25 Novembre 1850 una fila di baionette circondava di duro assedio quest'abitato, ed impediva a chiunque di entrarvi od uscirvi. Alla notizia che un nerbo di truppe marciava alla volta di questo Comune gli abitanti, attoniti dalla paura, si rinchiusero nelle loro case, ed il terrore impossessavasi di essi non appena il frequente calpestio nelle vie gli rese certi dell'arrivo dei soldati. Tratto tratto però venivano destati dal forte bussare che si faceva alle porte.

Erano i nuovi arrivati che domandavano alloggio. Le donnicciuole al vedere i bersaglieri frammisti ai Cavalleggieri pensavano che i primi fossero Missionarj invitati per assistere nell'ultima ora tutti quelli che si doveano passare a fìl di spada, e quindi gemiti, singhiozzi, atti di impazienza e di disperazione; e come chi sà di non poter scampare a certo castigo, raccomandavano ai cari loro di attendere rassegnati la morte!
Contemporaneamente giungevano pure l'avv. Castellini, Giudice della Reale Udienza ed il Sostituto Avvocato Fiscale Generale Comm. Pietro Salis, ora esimio Primo Presidente della corte d'appello di Tram, delega ti per la istruzione del processo, assistiti dal Segretario Signor Biddau, i quali con alacrità, con imparzialità e giustizia eseguirono lo incarico delicatissimo, sebbene in qualche errore siano dovuti incorrere a causa della reticenza nel deporre per parte dei testimoni e di alcuni imputati, cosa questa innata nell'animo dei Sedilesi. Lodevole si fa il contegno tenuto dai militari durante il tempo che qui rimasero aquartierati, comandati dall'ex Generale ed ex Deputato Giovanni Serpi, in allora Maggiore nei Reali Cavalleggieri, persona di alto sentire e di cuore magnanimo, quanto risoluto ed energico nel far mantenere la disciplina. Dicesi sul di lui contoche alcuni Cacciatori Franchi essendosi portati in una betola, e non essendo stati prontamente serviti dalla padrona, forassero a fucilate la botte e lasciassero che il vino si riversasse sul pavimento, spargendovi poscia della farina di frummento che trovarono in un cesto; e che avendo sporto lagnanza la stessa padrona al Maggiore Serpi, questi chiamasse pubblicamente ed alla presenza di tutti gli altri militari, i delinquenti e dopo severa ammonizione ordinasse che venissero bastonati nel modo prescritto dal loro Corpo.

Tuttavia interessava alla popolazione di liberarsi dello stato di assedio, perlocchè si pensò di deputare due delle più influenti ed istruite persone del paese, perché si recassero in Cagliari ed alle autorità governative esponessero le cose nel loro stato genuino, e giusti provvedimenti reclamassero. Venivano a ciò incaricati Prodottore in leggi signor Melchiorre Azuni Massidda ed il sacerdote Battista Zonchello, i quali unitisi al procuratore della Comune Avv. Battista Dessi, disimpegnavano la delicata ed onorifica missione avuta; e frutto se n'ebbe, poiché gli ultimi di Dicembre di quell'anno venivano ritirate le truppe, e solo provvisoriamente vi si lasciava un distaca mento di Bersaglieri, quale verso la metà del successivo Gennaio veniva pur levato.

Come promotori del moto popolare venivano arrestati 22 individui, e dopo due anni circa di carcere preventivo, quindici venivani rimessi in libertà, tra i quali il disgraziato Sindaco, non di altro colpevole che di troppa ignoranza e di nessuna energia, e 7 - appartenenti alla plebe - condannati alla reclusione.

Rimane accertato che le truppe inviate per l'assedio erano munite di un cannone di campagna, ma il Maggiore Serpi impedì che si mettesse in uso. Il popolo ignorante, credulo e fanatico spiega la cosa diversamente, ed ecco come racconta il fatto : "Mentre le truppe si avanzavano verso la disgraziata nostra patria, in vicinanza al comune di Paulilatino, un guerriero caracollando su di un superbo cavallo sauro si presentò ai soldati, e, fermatevi, gridò: quel cannone che voi portate per mandare in rovina lo infelice e misero villaggio di Sedilo, rimandatelo indietro. La popolazione la troverete pacifica; all'entrarvi non vi imbatterete con chicchessia; neppure un cane abbajerà al vostro arrivo, perché questo è il volere di Dio" e disparve. Era Costantino Magno, il santo protettore dei Sedilesi, che in tutto lo splendore di sua grandezza si era nuovamente personificato per tute lare i suoi devoti. Sono già passati 30 anni da quell'avvenimento fino ad oggi, e questi 6 lustri trascorsero senza alcun altro incidente. La popolazione divenne sempre più temperante, più laboriosa, più civile; ma relativamente si mantenne povera. Eppure estesissime terre ha da coltivare ubertose e feraci; ricca è di bestiame; intelligenti e svegliati sono i suoi abitanti! Che cosa dunque manca perché risorga a nuova vita, perché presto si metta a livello con alcuni circonvicini o cospicui paesi!

Le strade! Concittadini! Agitiamoci un'altra volta! Sono io che ve lo suggerisco; ma legalmente, con dignità, da uomini forti e liberi, consci dei propri doveri e dei propri diritti, e diciamo alla Pro-vincia: Ogni anno paghiamo volentieri la sovraimposta ai tributi diretti, e Voi la incassate e la impiegate in opere buone ed utili si, ma certamente meno urgenti della nostra strada. Lo stato di isolamento in cui ci lasciate è onta, è obbrobrio per Voi!

ELENCO degli individui arrestati per la sommossa di Sedilo:



1. Carta-Sanna Giovanni, Sindaco
2. Cocco-Manca Gio. Giuseppe, Sacerdote
3. Mula-Lutzu Giovanni, Capitano Barr.
4. Mula Reverendo Giovanni
5. Salaris-Felis Costantino.
(per questi 5 si dichiaro' di non farsi luogo a procedimento)

1. Carboni-Municu Battista
2. Carboni Salvatore, detto Mezzanu
3. Carta Antonio Francesco
4. Carta Antonio Andrea
5. Cocco-Norio Salvatore
6. Coghe Antioco
7. Manai Giov. Battista
8. Mameli Filippo
9. Mongili Diego detto Ledda.
(assolti al dibattimento)

1. Carboni-Uda Antonio Giuseppe
2. Cuscusa-Moro Salvatore
3. Depalmas-Cotzi Francesco
4. Mameli Giuseppe, detto Massette
5. Norio Costantino
6. Pala Ignazio
7. Salaris-Felis Giovanni.
(condannati alla reclusione dei quali il 1 e 4 a 5 anni; il 2, 3, 6 e 7 a 3 anni; ed il 5 a 7 anni, perche ' ritenuto capo della rivolta)

1. Sanna Costantino, detto Pilatu, morto in carcere.

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